La peste del 1690-91 e il busto argenteo del santo dono ex-voto di Domenico Gigante

0
94

articolo ripreso da portalecce

La pandemia in corso ha risvegliato in tanti fedeli l’antico amore per Sant’Oronzo che le passate generazioni avevano trasmesso come un prezioso tesoro.

 

 

Su queste pagine abbiamo già raccontato della bella preghiera composta, sulla scia dei predecessori, da mons. Michele Seccia (LEGGI QUI) e dell’invocazione del santo in Croazia (LEGGI QUI).

Volendo poi leggere le cose con occhio sovrannaturale non può sfuggire il fatto che nell’ottobre scorso, appena quattro mesi prima dell’inizio dell’emergenza, un frammento della reliquia di Nona sia stato donato a Turi, in rappresentanza di tutte le comunità legate al martire (LEGGI QUI). È come se il protettore abbia voluto fare ritorno tra i suoi figli, nella sua terra, proprio in vista di ciò che sarebbe accaduto. Lui ci è vicino, la sua mano benefica è pronta a stendersi sulle nostre case. Sta a noi invocarlo con fiducia, crescere nella fede, scegliere il bene, perseverare nella conversione, vivere gli eventi in maniera autenticamente cristiana.

È quanto cercarono di fare i nostri padri. Nei giorni scorsi, grazie ad un’intuizione dello studioso Stefano de Carolis e all’approfondimento del prof. Mario Cazzato, è tornata alla luce la vicenda del busto argenteo del santo custodito oggi nel Museo Diocesano di Lecce. Dopo l’epidemia, davvero tremenda, del 1656, la peste tornò ad imperversare, fra la Campania e la Terra di Bari, nel biennio 1690-91. Alcuni protagonisti del “risveglio oronziano” del XVII sec., come il vescovo Pappacoda o l’artista Giovanni Andrea Coppola, erano già passati a miglior vita. Tuttavia il culto era risorto dall’oblio. Fu allora che l’argentiere leccese Domenico Gigante, trovatosi a Napoli, decise di modellare uno splendido simulacro del protomartire appulo e di offrirlo alla città natale come ex-voto. L’opera, che raffigura un Oronzo mitrato e benedicente, con pastorale ed evangelario, giunse al monastero degli olivetani il 1 giugno 1691 quando il male ormai infuriava nell’entroterra barese. La sera 3 giugno, solennità di Pentecoste, venne condotto in cattedrale con un corteo imponente di oltre 1600 fedeli. Le Cronache Leccesi di Giuseppe Cino affrescano con toni estremamente vividi quanto avvenne in quell’occasione: il popolo piangeva commosso e, fra il chiarore delle torce, implorava l’intervento del santo per la propria salvezza. Le preghiere salite al cielo ottennero quanto sperato, il Salento rimase pressoché immune dal contagio.