I re delle Due Sicilie e Sant’Oronzo. Il paliotto reale dono dei Borboni al vescovo Zola

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articolo ripreso da portalecce

Come ogni anno durante l’Undena, è tornato ad impreziosire la cappella dei santi patroni, addobbata per la festa, il meraviglioso paliotto reale. Nella liturgia cattolica, il paliotto è un pannello decorativo che viene posto come rivestimento della zona anteriore di un altare.

Ma, quello visibile in questi giorni in duomo, sotto i simulacri dei nostri martiri, ha una storia tutta particolare che merita di essere ricordata. Quel paliotto infatti testimonia il legame tra Lecce e Napoli o, per meglio dire, con la casa reale borbonica.

Ufficialmente la città di Napoli venera cinquantadue santi protettori. Il celebre vescovo Gennaro (†305) dunque non è che il primo di una folta schiera di paradisiaci intercessori. Nell’antica capitale del Meridione tuttavia anche Sant’Oronzo trovò un piccolo posto. Ad introdurre il suo culto tra le mura partenopee fu forse la famiglia leccese dei Maresgallo. Alcuni membri di tale famiglia infatti si erano trasferiti in riva al Tirreno e soprattutto avevano un patronato nella chiesa napoletana di San Pietro a Majella, gestita un tempo dai Celestini. Proprio in quella chiesa esiste ancora oggi una ricca cappella dedicata a Sant’Oronzo, adorna di tre tele dell’artista campano Francesco De Mura (1696-1782) che raffigurano il battesimo, la predicazione ed il martirio del nostro santo. Opere che propongono un’iconografia oronziana, per certi versi, alternativa. Nella scena della predicazione, ad esempio, Oronzo è ritratto imberbe mentre in quella del martirio è più anziano del dovuto (stando alle agiografie del ʼ600 il protovescovo salentino sarebbe morto a poco più di quarant’anni). In ogni caso, tra XVII e XIX sec., a Napoli Sant’Oronzo non doveva essere proprio un estraneo. Anche perché, almeno nella chiesa di San Pietro, si celebravano due ricorrenze in suo onore, il 20 febbraio e il 26 agosto. La figura del martire appulo doveva essere poi un po’ nota anche alla famiglia reale.

Era il gennaio del 1859 quando il re Ferdinado II (1810-1859) giunse a Lecce, durante il suo storico viaggio in Puglia. Visitando la cattedrale, si accorse che il bellissimo altare policromo dedicato ai patroni non aveva un paliotto all’altezza dello splendore della cappella. Così decise di offrirne uno. Il sanguigno monarca non ebbe modo di compiere questo voto perché la morte lo colse in quello stesso anno. Tuttavia il figlio, l’infelice Francesco II (1836-1894), ultimo re delle Due Sicilie, non dimenticò la promessa del padre e, nel 1887 quando già era esule dal regno, riuscì a far pervenire a mons. Salvatore Luigi Zola il prezioso dono. Re Francesco era, del resto, un uomo religiosissimo: figlio della Beata Maria Cristina (1812-1836), aveva avuto occasione di conoscere personalmente il Papa Pio IX, pur nelle comuni sventure.

Il capolavoro venne realizzato dall’argentiere Luigi Magliulo su disegno dell’architetto Francesco Gavaudan ed ha per tema la supplica di Sant’Oronzo alla Vergine Assunta, titolare del duomo. Impostato sotto una cornice ellittica, l’altorilievo mostra il martire, in abiti pontificali ed assistito da un terzetto di putti, genuflettersi dinanzi alla Madre di Dio. La mano sinistra del santo indica l’abitato di Lecce posta sullo sfondo mentre la destra si eleva, come in preghiera. La figura di Maria, slanciata su una nube e coronata di stelle, sembra accogliere l’orazione del santo vescovo. Nel profilo scolpito della città è possibile riconoscere il campanile della cattedrale, le chiese dell’Idria, dei Teatini e di Santa Maria della Porta, la basilica del Rosario, porta Rudiae, l’arco di trionfo, nonché l’antica via circonvallazione alberata. La scena è incorniciata da due pilastrini che recano lo stemma del casato borbonico mentre agli angoli del paliotto compaiono due angeli che recano palme e corone di alloro. Come ricorda l’architetto Giuseppe Fiorillo, questo paliotto venne descritto con toni di grande ammirazione dal canonico Sante De Sanctis, il quale non mancava di ricordare come di fronte ad Oronzo si fossero inchinati anche due re.