La Petizione alla Santa Sede del Vescovo Pappacoda/I Martiri Salentini: dal Supplice Libello ad oggi

0
107

Tra fine ’57 a inizio ’58 il nostro Vescovo, Mons. Luigi Pappacoda, testimone privilegiato dello scampato pericolo della peste di metà Seicento (unica provincia, la nostra, tra le dodici del regno di Napoli) inviò una rispetto­sa petizione alla Santa Sede, passata alla storia come Supplice Libello, in favore della restaurazione del culto e la dichiarazione dei Santi nostri Patroni.

Premettiamo che nel nostro Ar­chivio Storico Diocesano non si conserva copia autentica del docu­mento, bensì una copia a stampa (Romae, apud successores Mascardi 1659: pp. 325-353).

Il Libello è in favore, anzitutto, del patrono principale del tempo, S. Giusto, così come si evince dalle seguenti parole: “Lyciensis, coram S. Rituum Congregatio­ne pro definienda confirmatione Sanctorum Iusti Martiris, Orontii et Fortunati Episcoporum et Martirum in Patronos” (Lecce, presso la S. Congregazione dei Riti, per ottenere la conferma dei santi Giusto Mar­tire, e dei SS. Oronzo e Fortunato, Vescovi e Martiri come patroni).

A dire il vero, per S. Fortunato non si era mai parlato di patronato prima di quell’anno. Così come per Lui non si era mai celebrato il culto fuori della Città di Lecce. Mentre i primi due, anche fuori Città e in tutta la provincia di terra d’Otranto erano stati ritenuti non solo Santi, ma anche Patroni. Addirittura, in epoca precedente si conservava in Cattedrale un solo altare di S. Fortunato; ma poiché era poggiato ad una colonna, per ovvie esigenze liturgiche era stato fatto abbattere dal Vescovo Castromedia­no a meta Cinquecento.

 

 

Che S. Giusto fosse allora il patrono principale di Lecce lo dice una lapi­de, ancora esistente nella cappella a lui dedicata in Cattedrale, riportata dalla seconda edificazione di essa e inaugurata lo stesso 1656, anno della liberazione dalla peste.

E lo confermano ancora tante altre prove. Dalla pubblicazione dell’ope­ra storico-agiografica di Mons. Pao­lo Regio, Vescovo di Vico Equense, edito nel primo ‘600, alla cappella di S. Irene, in pari data, nella Chiesa dei teatini, ove si vede a destra di S. Oronzo; dalla porta principale della Città a Lui dedicata alla via che dal Duomo parte verso la porta mede­sima.

Ed infine dalla colonna ivi eretta in suo onore nel 1658, che è quanto dire sei anni prima della colonna di S. Oronzo (1664) che si erge nella piazza principale del centro cittadi­no. Per quanto attiene S. Fortunato basta ricordare quanto qui scritto sul suo altare ed una statua lapidea in S. Chiara, ove appare alla sinistra di S. Giusto: così come nella Cattedrale medesima all’altare dei santi Patroni inaugurato nel 1674. Tornando al nostro Supplice Libello, la versione patronimica tra Giusto ed Oronzo la si ricava dalle ultime due pagine dello stampato (352- 353).

Si ricorda, infatti, a fine Libello, da parte del vescovo richiedente che molti miracoli in quegli anni erano stati segnalati con giuramento al competente Dicastero della S. Sede per l’intercessione dei due Santi. Ma si precisa che praesertim (in special modo) ciò avviene per l’interces­sione di Oronzo. E fu proprio quel praesertim a collocare, nel decreto di risposta S. Oronzo prima di S. Giusto. Come più volte ricordato da noi, il decreto pontificio è del 13 luglio 1658, a firma del cardinale Prefetto dei riti Giulio Sacchetti (cfr. Archivio storico Diocesano, mazzo XV, fascicolo 28 bis). A mo’ di conclusione ricordiamo la visita del S. Padre Benedetto XVI alla Città di Brindisi del 15 giugno 2008. Durante la celebrazione Eucaristica da Lui presieduta in piazza S. Apol­linare al Porto Egli salutò i Patroni della Città: S. Leucio e S. Oronzo. Ormai da tempo era in vigore la riforma della Conferenza Episcopa­le Italiana del 1986 che trasformò l’unione di più diocesi unite “ad personam” in unione “territoriale”. Per cui S. Oronzo (antico patrono di Ostuni) era divenuto anche patrono di Brindisi assieme a S. Leucio.

E il S. Padre ricordava che i due Santi erano venuti dall’Oriente. Allo stesso modo che S. Giusto di Trieste e nostro compatrono era venuto in Italia dalla Palestina passando attra­verso il letto del Danubio. E poi scendendo ad evangelizzare il basso Adriatico: da Siponto al Salento. Che dire, infine, di S. Fortunato? Era forse uno dei dodici fratelli martiri “beneventani” come Raffaele De Simone ipotizza nella sua opera sui Martiri Salentini di metà novecento?

Oronzo De Simone

Canonico della Cattedrale